La Processione del Cristo Morto di Orte

Lo storico ortano Gioacchini, nel definire l’antichità e l’esatta conservazione dei rituali della processione del Cristo Morto, cita ” Se per un ipotesi impossibile tornassero a noi gli ortani del ‘200 o dei secoli successivi certamente stenterebbero a riconoscere la struttura della città in cui vissero, tante sono state le modifiche che essa ha avuto. Ma certamente rivedrebbero con profonda commozione la processione alla quale essi stessi parteciparono, così come essi la vissero”. Il Gioacchini ci fa comprendere come la processione, dal XIII° secolo ad oggi, è giunta a noi integra, pur con i necessari aggiustamenti è sempre rimasta un corteo funebre, mesto e devoto, che accompagna Cristo alla sepoltura in attesa della Sua resurrezione. La processione non è folclore o spettacolo, ma solo fede e preghiera. Tra gli aggiustamenti fatti nel corso dei secoli il più importante risale al 1627, poco dopo che era morto il Vescovo Fabbrani. Ad esso dobbiamo la composizione della processione così come oggi sfila per le vie di Orte. Non che egli la volesse in questo modo, anzi…, ma fu la sua rigidezza teologica a determinare questo risultato. Infatti, fino ai tempi del Fabbrani, i fratelli incappucciati di Santa Croce, con la pietosa partecipazione delle altre compagnie, portavano devotamente sulle spalle solo l’immagine del Cristo, deposto nel feretro. Il Fabbrani rilevò che questo non aveva fondamento alcuno nella Sacra Scrittura, dove non si parla né di bara né di trasporto, ma solamente di Cristo che morì e fu sepolto.

Il Vescovo stabilì, perciò, di portare in processione, invece che la bara, l’immagine della Madonna Addolorata.

Gli ortani accolsero con devozione l’Addolorata, ma non seppero darsi pace di dover rinunciare alla processione così come era stata loro tramandata. Fu così che dopo la morte del Fabbrani, la processione, con una bellissima bara nuova, riprese più solenne e più toccante di prima, per la presenza della Vergine che accompagna vestita a lutto il mesto corteo. Non c’è dubbio dunque che la bara che ancor oggi noi ammiriamo, sia legata a questa circostanza, e sia da assegnare al terzo decennio del 1600. Lo svolgimento della processione segue regole rituali, fissate dalla tradizione, che devono essere rigorosamente rispettate. Le Confraternite, dietro l’invito dei furieri di Santa Croce, muovono dalle rispettive chiese e sostano, in attesa che tutte siano pronte, allo sbocco delle varie strade sulla piazza principale. Poi, al cenno dei furieri si avviano secondo un ordine di precedenza stabilito in base all’antichità di ognuna. La processione così si mette in moto. A Sant’Agostino, dietro la compagnia della Misericordia si avvia la Confraternita bianca di Santa Croce, seguita dalla banda e dal capitolo, e infine, circondata da coppie di lampioni, inviati da tutte le compagnie, e preceduta da una fanciulla, con in mano un velo dipinto con il volto di Cristo, che rappresenta la Veronica, la bara con l’immagine del Cristo morto, in essa deposto. Giunta sulla piazza la processione fa sosta, disegnandosi a forma di cuore, e dentro il cuore sarà posata la bara del Cristo morto e la macchina della Madonna sua madre.

Un tempo se le candeline delle due macchine giungevano sulla piazza tutte accese, i contadini traevano auspicio di un raccolto buono nell’anno.Qui dopo un breve pensiero spirituale, si recitano le preghiere dei fedeli e si cantano alcuni versetti del Miserere, quindi la processione riprenderà il suo svolgimento per le vie della città.

Al ritorno, fuori la chiesa di Sant’Agostino, l’ultima sosta; le Confraternite si disporranno di nuovo per accogliere la bara e l’Addolorata, i confratelli dopo il canto dello Stabat Mater reciteranno altre preghiere, per poi salutare il Cristo morto e Sua Madre che faranno rientro a Santa Croce.

Lì verrà spezzato tra i confratelli che hanno partecipato al rito il pane del Venerdì Santo, in segno di fraternità. Verrà poi tolta l’immagine del Cristo morto dalla bara, così come verrà tolta quella della Madonna dal Suo trono, e saranno messe sotto l’altare del crocefisso a Santa Croce, con la Vergine che guarda con dolore il corpo del Figlio ucciso, e sembra che dica alla gente le parole che le attribuisce Jacopone “Mort’è lo tuo fratello: ora sento il coltello che fo profetato”.

Della processione è parte integrante il popolo che vi assiste in silenzio profondo e raccolto, rotto non già da parole ma solo da preghiere e dal lamento musicale. Qui esso non è un protagonista, e neppure un teatrante, è uno spettatore che, però, ad un certo momento viene anch’esso coinvolto e si fa partecipe di questa vicenda, grandiosa e tremenda: guarda, ma sente al tempo stesso il bisogno di pregare.

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